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LA NASCITA DEI TATUAGGI

In Polinesia il tatuaggio rappresentava un segno di distinzione sociale e spirituale decretata dalle divinità. Praticato originariamente nelle isole dove raggiunse il suo più alto grado di perfezione, si diffuse successivamente in tutti gli arcipelaghi della Polinesia fino alla Nuova Zelanda. 


Secondo una leggenda tahitiana, la pratica del tatuaggio sarebbe opera di Mata Mata Arahu e di Tu Ra'i Po', figli del dio Ta'aroa, i quali ricorsero al disegno chiamato Tao Maro per sedurre Hina Ere Ere Manua, figlia del primo uomo e della prima donna. 
Secondo la tradizione il tatuaggio era prerogativa delle classi sociali più elevate: quella dei sacerdoti, dei capi sia uomini che donne, dei capi guerrieri e danzatori. La sua funzione non era soltanto decorativa, ma soprattutto finalizzata all'esaltazione della vita. Le tecniche dell'operazione erano affidate a un sacerdote tatuatore che era considerato il depositario di una tradizione da tramandare ai posteri. I polinesiani praticavano tatuaggi artistici, incidendo vari disegni sulla pelle del viso e del corpo con finissime punte d'osso, e sulle ferite versavano polvere di carbone di legna sciolta nell'acqua oppure pigmenti vegetali. In questo modo la traccia dei "ricami" rimaneva colorata e il disegno inciso diventava indelebile. Una lunga “tortura” a cui i guerrieri si sottoponevano senza lasciarsi sfuggire neppure un lamento.
 
Il termine moderno “tatuaggio” deriva dalla parola polinesiana tatù, che significa “foracchiare. Ancora oggi, cerchi, stelle, losanghe sono i motivi più usati in Polinesia.

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